
Ho pensato un bel po’ se scrivere questo post oppure no perché: 1) di Cinquanta sfumature di grigio si è già parlato tantissimo, chi voleva leggerlo l’ha letto, che non voleva leggerlo l’ha serenamente evitato, nessuna delle due categorie ha bisogno di un mio post; 2) per scriverlo attingo a alcuni strumenti di analisi che qui nel blog metto poco in luce anche se fanno parte della mia formazione: non che non li usi poco, li uso moltissimo ma cerco di evitarne il metalinguaggio perché il semiotichese può avere tanti pregi in chiarezza ma in un blog è sexy come le tabelle a sei colonne. In questo post invece si vedranno un po’ di più, anche se prometto che sono ridotti al minimo indispensabile.
Insomma, alla fine il post l’ho scritto perché ci ho pensato così tanto (ho quattro pagine di appunti) che non scriverlo solo perché si trattava di Cinquanta sfumature sarebbe stato puro snobismo e a me lo snobismo infastidisce. Solo alcune avvertenze:
A) il post è lungo;
B) il post contiene spoiler: nulla di eccessivamente rivelatorio, ma insomma qualcosa c’è.
Insomma, pronti? Via!
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0. Delle domande che mi faccio in libreria
Perché? Perché è la domanda che mi sono fatta per mesi quando entrando nella solita Feltrinelli ho visto, inchiodati allo scaffale espositivo dei titoli più venduti, i tre volumi delle Sfumature regolarmente al primo, secondo e terzo posto. Essendo intrinsecamente polemica, non vi nego che quel Perché? aveva qualche sana nota di esasperazione: perché, italiano ISTAT, se ti leggi un libro all’anno deve essere una delle Sfumature?
Tuttavia, mettendo da parte il naso storto finto-intellettuale e le varie considerazioni di marketing/pubblicità/piano di comunicazione e tutto l’armamentario forse non così evidente alle case editrici indipendenti, insomma turandosi il naso di fronte ai cartelloni patinati e ai 15% di sconto, la domanda rimaneva: perché?
E la risposta, insomma, non è poi neppure così difficile.
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1. Ripartendo da due
Di cosa parla Cinquanta sfumature di grigio? Essenzialmente della relazione tra Anastasia Steele e Christian Grey.
Christian Grey è forse il personaggio più noto del libro: miliardario, giovane, potente, arrogante, spiazzante, bellissimo e fascinosissimo. La parodia del perfetto protagonista da commedia americana un po’ crudele, quello che si capisce dall’inizio che non sposerà la protagonista (che finirà invece con il migliore amico, bravo e fidato) ma che strappa i sospiri a tutto il pubblico femminile del cinema. La parodia, appunto: perché un uomo che riesce a fare arrossire qualsiasi donna che solo gli posa gli occhi addosso, guida un aliante e suona il pianoforte da concertista – insomma, un po’ caricatura è.
Anastasia è invece un personaggio più umano: si tratta di una studentessa carina, un po’ imbranata, appassionata di letteratura inglese ma un po’ incerta su quale strada prendere dopo la laurea. Dai commenti degli altri personaggi e di Christian stesso scopriamo che Anastasia è probabilmente molto attraente, ma lei non se ne rende conto, esprimendo una forma di insicurezza con cui molte lettrici possono provare empatia – non essere perfetta, non essere abbastanza bella, non essere abbastanza – e basta.
Tuttavia anche il personaggio di Ana presenta aspetti caricaturali: talvolta è davvero troppo goffa e il fatto di non avere avuto alcuna esperienza sessuale a 21 anni risulta un po’ strano per una ragazza che aveva almeno un paio di corteggiatori fissi e una vita sociale attiva all’università. Anche questo personaggio, insomma, ha una sottile vena di parodia: quella dell’innocenza estrema, da romanzo ottocentesco di caduta e perdizione.
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2. Sentieri
Grey e Anastasia sono attratti l’uno dall’altra dal primo momento in cui si vedono. I due personaggi, tuttavia, sembrano provenire da due libri diversi.
Grey esce pari pari da Histoire d’O. I punti di contatto sono così tanti che parlerei serenamente di citazione esplicita. Bellezza, disponibilità di mezzi illimitata, sicurezza dei propri gusti sessuali che richiedono un patto Dominatore/Sottomessa, rigidità nell’applicarlo. Il Grey delle prime pagine è perfettamente felice nel suo tipo di sessualità e non ha alcun problema né a mostrare la sua stanza dei giochi né a proporre accordi estremamente espliciti. Sa cosa vuole – e non è una fidanzata.
Anastasia, invece, arriva direttamente da Cenerentola: completamente stregata dal principe azzurro che la porterà lontano su un roboante elicottero dal nome Charlie Tango.
Fino alla scena rivelatrice in cui Anastasia scopre i veri desideri sessuali di Grey e Grey scopre che Anastasia è vergine ognuno vive la propria storia: lui è a Roissy e lei chiede aiuto ai topolini per le faccende domestiche. Nel momento in cui per la prima volta entrambi capiscono la loro distanza potrebbero salutarsi qui e adieu, “non sei tu sono io”. E invece.
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3. Patologia del compromesso
E invece entrano in gioco le crepe. Diciamocelo: che Anastasia ci provi, è comprensibile. E’ completamente inesperta, non sa cosa l’aspetti davvero e nel giro di mezz’ora dalla spiegazione Christian la trascina a letto e le provoca il primo orgasmo della sua vita semplicemente massaggiandole i capezzoli. E’ comprensibile che lei provi a rimanere.
Le crepe di Christian, invece, sono quelle che aprono il primo spiraglio di fantascienza nel romanzo. Le sue aperture alla negoziazione, al compromesso, alle prime tenerezze -alle gite di coppia, al dormire insieme, alle presentazioni in famiglia- sono oggettivamente un po’ strane e veloci per qualcuno che non aveva mai conosciuto altro rapporto che quello Dominatore/Sottomessa. Queste crepe, queste aperture, vengono lungamente discusse dai due quando Anastasia ammette di volere “di più”: da quel momento in poi il discorso del “di più” torna spesso – e possiamo solo sperare che Ana sia consapevole di averlo rubato alla Julia Roberts di Pretty Woman, che nella scena madre del film dice a Gere di volere “di più”, la favola.
(Non credo ci sia bisogno di rimarcare esplicitamente che anche in Pretty Woman siamo alle prese con una trama contrassegnata da disparità economica dei protagonisti, aspettative relazionali discordi e un personaggio maschile emotivamente complicato e bellissimo.)
Nel momento in cui alla figura di Christian si aggiunge il tassello dei maltrattamenti subiti da bambino ecco che, ci siamo: quello che Luciana Littizzetto definirebbe con esattezza un bastardo diventa anche un cucciolo da proteggere e siamo lì, nel cocktail più esplosivo di tutti: bastardo + io ti salverò.
Signore mie, diciamoci la verità: se già il bastardo è narrativamente (e nella vita) un attrattore di lacrime delizie guai e tragedia greca in ugual misura, il bastardo da salvare, il cattivone con la storia tenera e il Dominatore stuprato dovrebbero essere proibiti per legge perché nocivi alla salute. Bisognerebbe essere costrette ad ascoltare in loop Gli uoooomini non caaaaambiano ogni volta che ci si pensa anche solo di traverso.
A questa rivelazione seguono circa duecento pagine a fare tira e molla sugli stessi temi dell’io vorrei-non vorrei-ma se vuoi alternati a come può uno scoglio arginare il mare. Ma ricorda: amore, gli uoooomini non caaaambiano.
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4. Il frustino per le carezze
Prima di chiudere, affrontiamo un momento anche questo chiacchieratissimo sesso. Su cui l’unica cosa che mi viene da dire è che è davvero furbescamente calibrato.
Per essere un libro che ci doveva portare in cinquanta sfumature di grigio direi che vediamo tantissimo sesso alla vaniglia – come Grey chiama il sesso senza giocattoli e senza un esplicito rapporto di dominazione in atto. (Anche questa è una enorme crepa nel personaggio di Grey: non l’aveva mai fatto prima e con Anastasia ci prende così tanto gusto? E’ credibile?)
Inoltre, dopo averci fatto fare un bel giro nella stanza della dominazione, in realtà dell’armamentario di verghe e frustini non viene usato quasi nulla e la James è sempre molto, molto attenta a farci dire da Anastasia che in realtà non si è fatta davvero male (ma ha avuto orgasmi pazzeschi). Chi ha anche solo letto Histoire d’O sa che i veri racconti di sottomissione sono diversi: per amore del suo dominatore O arriva a subire qualcosa di simile a una mutilazione genitale permanente.
Non credo che la lettura di Cinquanta sfumature soddisfi qualcuno con i gusti di Grey, ma è perfetto per il lettore alla Anastasia (ovvero le donne che poi hanno comprato il libro, dicono le statistiche): quelle che sognano la favola, sono contente della diciamo-normalità e possono provare qualcosa di un po’ ardito a patto che non faccia troppo male (e non lo si debba proporre).
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5. “E tu piangi mille notti di perché”
E poi, come anticipato, la trama si annacqua: l’ultimo terzo del libro alterna discorsi già fatti a orgasmi già visti, Anastasia prende decisioni nette poco in linea con il personaggio e il fascino di Grey si sbriciola – sul finale la supplica quasi di rimanere. A mio parere lo sgretolamento della figura di Grey è forse lo sbaglio narrativo più netto della James ma insomma, come si è detto: se avesse tenuto il punto saremmo in un altro libro e non in questo. E poi bisognava aprire il campo alla trilogia e l’hanno fatto – malamente.
Per provare a dare una risposta alla domanda iniziale, cioè quel Perché? che per settimane mi ha accompagnato: Cinquanta sfumature di grigio piace e vende così tanto perché ci racconta l’ennesima favola dell’amore impossibile. Cinquanta sfumature di grigio ci dice che le relazioni morbose si possono raddrizzare, che i nodi gordiani possono essere tagliati di netto, che si può avere “di più” anche quando “di più” strutturalmente non c’è. Che quei bastardi si possono salvare dalle loro sfumature di tutti i colori per farli divenire, limpidamente, azzurri – il tutto condito con un po’ di sesso anch’esso molto, molto ideale (prego contare le volte e gli orgasmi).
Che non funzioni così, insomma, lo sanno le nostre amiche quando ci passano i kleenex mentre piangiamo giù il terzo strato di mascara e un po’ lo sappiamo anche noi. Ma ci piace crederci – come a Pretty Woman e a Cenerentola. E compriamo i libri.
Sul perché vorremmo fortemente fosse così anche se sappiamo che non è quello il caso (né lo scioglimento auspicabile) lascio la parola a qualcuno di più esperto del settore. Perché gli uooomini non caaambiano.
Ma anche le donne, anche loro, maledizione.
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Grazie a chi mi ha seguito fino in fondo (direi “i miei venticinque lettori” se non temessi di sovrastimarvi). Chi è così folle da volerne ancora può leggere il mio Per amore solo per amore, Una lettura di Histoire d’O che l’editore et al. ha pubblicato nel 2010 all’interno della raccolta Pop Porno – e in cui tratto la semiotica un po’ meglio di come abbia fatto qui sopra.
Un grazie sentito anche a Mia Martini che, oltre a Gli uomini non cambiano, ci ha regalato Minuetto. Vi auguro sonore singhiozzate. Io, per fortuna, ho già dato.
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