Nessuno sapeva cosa volesse dire nerd nel paesino montano in quella terra di mezzo che sta tra l’inizio della fine degli anni ’80 e la fine dell’inizio degli anni ’90 in cui sono cresciuta. Nessuno conosceva neppure il termine nerd – ricordo brevemente, per chi se lo fosse dimenticato, che internet allora non esisteva o era come se non esistesse.
Però, con il senno di poi, mio cugino Gabriele era (ed è) nerd nel senso classico del termine. Da piccola ho sempre visto Gabriele come il cugino grande alle prese con la bambinetta che non sa divertirsi con quello che è davvero divertente. A suo merito devo dire che ci ha provato. Mi ha prestato molti libri game e non ne ho finito nessuno. Ha installato una vecchia console (o era un semipc?) nella camera da letto di nonna per farmi videogiocare in nero e verde – e non sono più riuscita a farla partire una volta che è uscito dalla stanza. Aveva in camera una serie di fumetti e miniature militari e non ne coglievo il fascino.
Con qualcosa ha funzionato: lo scatolone con i primi 200 numeri di Alan Ford è uno dei regali più apprezzati che abbia ricevuto e so ancora a memoria Ciò Bilbo Baggins odia da matti (attento dunque tu con quei piatti!).
Però, con la fantascienza, no. La fantascienza è per me un genere completamente non naturale. Un po’ come andare in palestra: a tratti mi spaventa, a tratti un po’ mi annoia e continuo comunque a chiedermi perché non sono sul divano a leggere Anna Karenina con una tazza di cioccolata calda. Insomma, Gabriele continuava a prestarmi libri di fantascienza capitali, bellissimi, gli Asimov migliori etc-etc e io continuavo a mollarli a pagina 80. A mia parziale discolpa posso dire che all’epoca avevo più o meno 9 anni. Ma, lo so, non regge del tutto.
Il cattivone di Hyperion, lo Shrike, disegnato da A. Dillingham
Gabriele dopo un po’ ha rinunciato – e nel frattempo sono passati quattro lustri e moltissimi consigli altrui di leggere questa o quella pietra miliare della fantascienza. Alla fine mi sono decisa a colmare questa lacuna a forma di buco nero e ho letto Hyperion di Dan Simmons. Che è, ovviamente, magistrale. Vado subito al punto: per quanto sia il-libro-che-ha-riscritto-il-modo-di-scrivere-la-fantascienza-bla-bla è perfetto anche per chi non ha mai letto nulla del settore.
In primo luogo la storia principale funge da cornice a una serie di episodi e racconti personali, ci sono almeno 6 storie nella storia e è impossibile non affezionarsi ai vari narratori.
Poi è scritto che fila via come l’olio.
Ci sono un sacco di paradossi temporali, quelli del tipo “un gemello va su un altro pianeta e l’altro rimane sulla Terra, dopo vent’anni quando il primo gemello torna ecc.”. E a me, che pure non sono appassionata di storie dello spazio, i paradossi temporali affascinano tantissimo.
C’è Keats, tanto Keats.
E ci dicono che è fantascienza ma ci sono le storie di spionaggio, gli intrighi religiosi, la politica e sì –beh, sì– anche le storie d’amore (e neppure pochissime).
In definitiva, o io ho sbagliato a evitare la fantascienza finora o Hyperion è scritto benissimo ma, ad ogni modo, ve lo consiglio.
Con il senno di poi questa copertina è quasi uno spoiler.
Per chiedere venia e seguire l’onda ho deciso che riproverò Asimov entro la fine dell’anno, promesso.
Nel frattempo, se qualcuno fosse preoccupato per il deteriorasi delle conversazioni tra me e mio cugino, sappia che abbiamo trovato molti e nuovi punti di contatto da quando ho iniziato a giocare a Dungeons and Dragons. Ma questo, forse, non dovevo dirlo.